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«Il canocjal de contesse» Per i reduci dell’Abissinia
nel 1936
di Andreina Nicoloso Ciceri
Fosse il clima euforico di quel periodo, fosse che i miei piccoli attori di Avilla stravolgevano in modo buffo i dialoghi, quell’Atto unico di Marioni, recitato nel vecchio Asilo del borgo, si risolse in uno spettacolo assai esilarante. Era del resto la mia prima «regìa» e «Il canocjdl de con-tesse» fu scelto perché ha per sfondo festeggiamenti in onore dei combattenti della Prima Guerra mondiale. E, nel nostro caso, si trattava di una serata in onore dei reduci della campagna d’Abissinia, a corollario di una serie di manifestazioni, fra le quali la più vistosa fu una mascherata, fuori dalla stagione carnevalesca, che mimava un corteo col Negus, i Ras, gli schiavi e così via: «I Ras» erano simboleggiati da un mazzo di rds di bruade... appesi ad un palo. Non era niente di simile alle attuali ricostruzioni o rievocazioni storiche, ma piuttosto uno charivarj popolare animato da persone del paese dalla naturale comicità. In questa atmosfera festosa si inquadrò anche la «cerimonia di riaccoglimento» organizzata, nel 1936, con la spontanea affettuosità di una festa di paese, piuttosto che con solennità organizzata. Don Umberto Ribis, Vicario di Avilla (che non era ancora Parrocchia) volle che il punto d’incontro fosse la piazzola di Ursinins Piccolo, quale punto di confine con la Parrocchia di 5. Stefano: in questo fatto, oltre alle delimitazioni ecclesiali, riviveva in certa maniera lo spirito delle antiche comunità.
Il Vicario, insieme alla Popolazione di Avilla, con bandiera, ed insieme agli altri reduci Luigi Nicoloso (personaggio poi ben noto come Vigji~t vuardeàn) e Luigi Pittini (Gjgj des scueles) accolse dunque in Ursinins il Tenente Ermanno Barnaba, figlio di Nino Ermanno, defunto nel 1934, che fu amato Podestà di Buja.
Ermanno, quando fu richiamato per la Campagna d’Africa, studiava alla Facoltà di Scienze Politiche a Roma ed uno dei suoi più cari amici era Michael, figlio di un Ras abissino. Per questo fu assai turbato dal timore di ritrovarselo di fronte come nemico, ma così non fu e, poi, entrambi raggiunsero la Laurea. E l’eterna storia delle vicende personali sovrastate da destini altri. Le persone anziane, che hanno vissuto i diversi periodi, i diversi «climi» della nostra storia, riflettendo sulla agreste, ma intatta vita dai ritmi tradizionali, che allora si conduceva, non possono non ricordare come poco più tardi mutò rapidamente l’atmosfera politica, addensandosi le nubi della Seconda Guerra mondiale. E questa per Ermanno non avrebbe avuto un’altra festa di riaccoglimento. Preparava invece un terribile appuntamento con la morte: una morte attesa in cella d’isolamento, incatenato, a distillare ora dopo ora, giorno dopo giorno la preparazione all’estremo distacco. Un’ingiustizia che, in un giovane di 32 anni, sano, vigoroso, intelligente, poteva condurre alla rivolta, al guasto morale, e che invece fu sopportata con estrema dignità.
Ermanno era stato richiamato con il Secondo Reggimento dei Granatieri di Sardegna e mandato sul fronte greco. Forse l’ultimo compaesano che lo vide, poco prima del tragico 8 Settembre 1943, fu Diego Marcon di Avilla, che prestava servizio nell’Aviazione, all’aeroporto di Atene. L’incontro fu dovuto a puro caso, fortunato per Marcon che, per una risposta troppo impulsiva ad un carabiniere, era stato incarcerato. Ermanno lo venne a sapere perché comandava la Compagnia di vigilanza, in qualità di Capitano; sollecitò il processo e lo raccomandò all’Ufficiale che fungeva da Giudice: Marcon se la cavò bene e andò a ringraziare Ermanno. Si abbracciarono e non si rividero più. Infatti, nella notte dell’8 Settembre, Marcon, con gli altri, fu preso dai Tedeschi e mandato in campo di concentramento in Germania. Ermanno si rifugiò presso la fidanzata Ritza Tzacona (che poi sposò); ma il tragico appuntamento era solo rimandato, perché poco dopo non sfuggì ad una retata tedesca; fu incarcerato e, dopo sommario processo, condannato a morte: il 6 dicembre 1943, insieme con altri due ufficiali italiani, fu fucilato nel recinto del Poligono di Snigrù ad Atene. Anche questa volta ebbe il conforto di un buon sacerdote, Padre Nucciotti, che testimoniò del suo nobile comportamento nell’ora estrema.